Affreschi

Affreschi Basilica Inferiore

Una delle più grandi collezioni di pittura murale altomedievale superstiti nella città di Roma si trova nella chiesa inferiore di S. Clemente. Questi dipinti sono stati abbandonati e dimenticati per secoli fino a quando, a metà del XIX secolo, sono stati riportati alla luce dagli scavi intrapresi da padre Joseph Mullooly. In origine, sembra che le pareti di S. Clemente fossero completamente ricoperte di affreschi. In molti punti rimangono solo frammenti della decorazione originale, ma alcuni affreschi, soprattutto quelli realizzati nell’XI secolo, poco prima che la chiesa inferiore fosse abbandonata, sono meravigliosamente conservati. 

Questi affreschi non solo sono preziosi come soggetti di studio per lo storico dell’arte, ma forniscono anche informazioni fondamentali sull’abbigliamento, l’architettura e in generale i costumi delle persone che vivevano nel Medioevo. Inoltre, parlano con grande vivacità della fede in Cristo di quelle persone e della loro venerazione per i santi.

Il lavoro sugli affreschi continua. Il loro stato di conservazione è continuamente monitorato; nuovi studi sono in corso su tutti gli affreschi: su quelli descritti qui di seguito e sugli altri che sono in uno stato più frammentario, come pure sugli affreschi che sono venuti alla luce negli scavi più recenti.

La Madonna col bambino -
Affresco dell'VIII secolo

sec. VIII

Un tempo la parete della navata nord era completamente affrescata. Ciò che rimane oggi di questa decorazione originale è ormai sbiadito e frammentario. 

Tra gli affreschi della parete, la più vasta area pittorica sopravvissuta è un affresco del Giudizio Universale del X secolo. Vi si vedono i volti dei beati su un lato della nicchia presente nella parete e il tormento dei dannati sull’altro.

L’affresco all’interno della nicchia è invece molto più antico di quello del Giudizio Universale.  In origine, quando Padre Mullooly si introdusse per la prima volta nella chiesa inferiore, entrando dalla finestra sbarrata ancora visibile in alto sulla parete, trovò un affresco della Madonna con il Bambino Gesù, sul fondo di una nicchia. Questo affresco, però, dopo qualche giorno si staccò improvvisamente dalla parete per rivelare un affresco più antico: la Madonna col Bambino attualmente visibile. 

Vediamo la Madonna e il Bambino seduti su un trono. Maria è vestita di blu e indossa l’elaborato copricapo di un’imperatrice bizantina, decorato con perle. Da soggetti simili, sembra probabile che Maria tenesse una croce nella mano destra. Indossa lunghi orecchini, fili di perle e una collana con cinque gemme. Gesù tiene in mano un rotolo. Più che raccontare una storia, questo affresco ha la qualità di un’icona. Davanti ad esso ci troviamo alla presenza stessa di Maria e del suo Bambino.

Nella nicchia, oltre alla Madonna e al Bambino, ci sono, su entrambi lati, delle sante donne, anch’esse riccamente abbigliate con gioielli e perle. La santa a destra è stata identificata da un’iscrizione come Sant’Eufemia; la figura a sinistra è invece sconosciuta.

La Madonna e il Bambino Gesù erano un soggetto frequente nell’arte paleocristiana a Roma. Qui colpisce in particolare la corona ingioiellata sul capo della Madonna, ispirata alla corona indossata da un’imperatrice bizantina. Maria è rappresentata come una regina: una forma di rappresentazione che ha una lunga storia a Roma, esemplificata dall’affresco del VI secolo di Maria Regina in S. Maria Antiqua.

Confrontando la Madonna col Bambino con altri affreschi simili nelle chiese romane, in particolare con un affresco ormai perduto di S. Lorenzo fuori le mura, è possibile datare questo dipinto di S. Clemente all’VIII secolo. Si pensa che i due affreschi facessero parte dei lavori di restauro effettuati nelle rispettive chiese da Papa Adriano I (722-795).

L’affresco dell'Ascensione
con altri affreschi del IX secolo

sec. IX

Questi affreschi si trovano all’interno della navata centrale della chiesa inferiore, a sinistra dell’ingresso dal nartece. 

La scena principale mostra l’Ascensione di Cristo al Cielo. Il modo in cui viene rappresentata l’Ascensione era già diventato comune nel VI secolo. Cristo viene portato in alto dagli angeli, mentre i discepoli, insieme alla Madonna al centro, guardano meravigliati e stupiti. I colori utilizzati nell’affresco sono per lo più tinte terrose.  Con poche pennellate vivaci, viene resa la drammaticità della scena. Degno di nota è il cielo alle spalle di Maria: questo è stato dipinto in un raro esempio di blu egiziano, che ci dà un’idea dello splendore originale di questo particolare affresco.

Lo spazio vuoto sotto Maria forse conteneva una pietra o una reliquia proveniente dalla Terra Santa. A destra della scena si trova San Vito e a sinistra un ritratto contemporaneo di Papa Leone IV (847-855), che è identificato da un’iscrizione: Sanctissimus Dom[inus] Leo Q[ua]rtus P[a]p[a] Romanus. Il nimbo quadrato dietro la testa indica che si tratta di un vero e proprio ritratto del Papa. Possiamo quindi datare l’affresco all’epoca del suo pontificato, nel IX secolo.

Sotto la scena dell’Ascensione, ci sono delle lacune nell’intonaco che farebbero pensare alla presenza di un piccolo altare e di lastre di marmo che lo racchiudevano.  Queste indicazioni, insieme alla presenza di invocazioni graffite sull’intonaco, suggeriscono che si trattava di un piccolo santuario, forse per la venerazione della reliquia che un tempo era al centro dell’affresco.

In alto e a destra si trovano altri affreschi del IX secolo: la Crocifissione, le Donne al sepolcro di Cristo, le Nozze di Cana e la Discesa al Limbo. Alcuni di questi sono ormai poco visibili, ma possiamo identificare le scene grazie alle copie realizzate al momento degli scavi. Sul lato dello stesso pilastro, ma in parte oscurato da un muro di fondazione del XII secolo, si trova un affresco di San Prospero d’Aquitania, segretario di Leone Magno.

L'Anastasis o Discesa nell'Ade -
Affresco del IX secolo

sec. IX

Questo affresco si trova sul lato nord dell’abside della chiesa inferiore, nello stretto corridoio formato dai muri di fondazione della chiesa superiore. Il tema del dipinto è la discesa del Signore all’inferno dopo la sua morte, per liberare le anime giuste che erano morte prima della Redenzione. Il drammatico racconto di questo evento è descritto nel Vangelo apocrifo di Nicodemo del VII secolo. Si tratta di un’immagine della vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte, un tema popolare nella Chiesa d’Oriente, dove era conosciuto come “Anastasis” (Resurrezione). Vediamo Cristo scendere in uno spazio simile a una prigione, un luogo di tenebre popolato da volti di demoni e da fiamme. Cristo porta la sua croce come uno stendardo di vittoria; prende Adamo per il polso. Il diavolo, chiaramente disturbato da questo evento, afferra Adamo per la caviglia, ma Cristo calpesta il diavolo e libera così Adamo una volta per tutte da questo oscuro mondo sotterraneo.

Sul lato sinistro, separato dalla scena da una colonna tortile, si trova il ritratto di un monaco orientale. La figura alza la mano destra in segno di acclamazione, mentre la mano sinistra regge le Scritture. La testa è incorniciata da un nimbo quadrato che indica che si tratta di un ritratto della persona.

La datazione tardiva del vangelo apocrifo che è la fonte di questa immagine significa che la scena appare relativamente tardi nell’arte cristiana. È possibile che questa disposizione sia stata influenzata da antiche scene classiche romane, una delle quali mostrava l’imperatore che, portando una lancia, trionfava calpestando il nemico e un’altra in cui l’imperatore sollevava una figura caduta, intesa come la raffigurazione di una provincia appena liberata.

La figura a sinistra della scena ha recentemente attirato l’interesse degli studiosi. Da tempo è stato riconosciuto che si tratta di un monaco. L’abito blu che indossa, la barba e il cappuccio decorato indicano che si tratta di un monaco orientale. L’aureola quadrata, sebbene in seguito sia stata usata come segno di distinzione, indica qui che il dipinto è un ritratto accurato della persona: un ritratto funerario. Un esame più attento delle pareti circostanti rivela che l’intero dipinto, con la Discesa di Cristo e il ritratto, faceva parte di una grande tomba, che consisteva in un sarcofago e in un piccolo arco che copriva l’affresco, circondandolo. Lo stile e l’iconografia indicano una datazione alla seconda metà del IX secolo.

Studi recenti hanno sottolineato che la data, la posizione e la presenza di un ritratto coincidono con le descrizioni della tomba di San Cirillo che troviamo nell’antica Vita di Cirillo. Queste affermano che San Cirillo fu sepolto in una tomba sul lato destro dell’altare e che il suo ritratto fu dipinto sopra la tomba. Il luogo tradizionalmente riconosciuto come tomba di San Cirillo si trova nella navata sud della basilica ed è il sito in cui si venera la sua memoria.  Questa nuova teoria suggerisce che San Cirillo potrebbe essere stato effettivamente sepolto nella tomba per la quale è stato dipinto questo affresco dell’Anastasis. Quando la chiesa inferiore fu abbandonata nel XII secolo, le sue reliquie furono portate nella nuova basilica superiore, dove sono venerate ancora oggi.

Il Cristo fra gli angeli e santi -
Affresco dell'XI secolo

sec. XI

Il dipinto è situato tra due pilastri del colonnato che si trovava tra l’atrio e il nartece della basilica primitiva. Raffigura Cristo in piedi tra gli angeli Michele e Gabriele e i santi Andrea e Clemente. Cristo benedice alla maniera greca con il pollice e il dito uniti e le altre tre dita distese. Davanti agli angeli ci sono due figure più piccole, ora appena visibili. In passato l’affresco era noto come “Giudizio particolare”. Esso era datato al IX secolo e le due figure più piccole davanti erano identificate come Cirillo e Metodio. Studi più recenti hanno invece datato il dipinto all’XI secolo; esso sembra far parte di un monumento funerario: i santi e gli angeli presentano a Cristo Signore le due figure più piccole, presumibilmente quelle sepolte nella tomba sottostante.

Sulla sinistra si trova Sant’Andrea, identificato da un’iscrizione ora appena visibile. Sant’Andrea è venerato a Roma fin dai tempi più antichi: a lui erano dedicate chiese e compare in mosaici e affreschi romani. Fonti più tarde ci informano infatti che a S. Clemente c’erano delle reliquie di Andrea. Nella mano sinistra Sant’Andrea tiene un rotolo. San Clemente si trova sul lato destro del gruppo. È identificato dal suo nome scritto: “Clemente”. La presenza della forma italiana del suo nome avvalora la datazione più tarda dell’affresco. Clemente tiene il libro del Vangelo nella mano sinistra, mentre con la destra fa un gesto alle figure minori di fronte, per le quali sta intercedendo. Sebbene gran parte di questo affresco sia oggi scomparso, le copie realizzate al momento della sua scoperta sono di grande aiuto per la datazione e l’interpretazione della scena. L’abbigliamento liturgico, lo stile degli ornamenti e la maniera delle lettere delle iscrizioni indicano che si tratta di un dipinto pertinente un monumento funerario dell’XI secolo.

Due affreschi nel nartece dell'XI secolo

Alla navata centrale della chiesa inferiore si accedeva dal nartece attraverso un ingresso a 4 colonne (“pentafora”).  Nell’XI secolo gli spazi tra le colonne furono riempiti, lasciando solo una porta centrale. Queste pareti, ai lati della porta, furono coperte da due splendidi affreschi commissionati dalla famiglia de Rapiza.

Il Miracolo del Mar d’Azov

sec. XI

Il primo dei due dipinti illustra una delle storie miracolose di San Clemente. Secondo gli Acta, sotto il regno di Traiano, Clemente fu esiliato in Crimea e costretto a lavorare nelle miniere. Alla fine fu martirizzato legandolo a un’ancora e gettandolo nel Mar d’Azov. Qualche tempo dopo le acque si ritirarono, rivelando una tomba che gli abitanti del luogo potevano visitare una volta all’anno. Secondo la leggenda, un bambino fu intrappolato nella tomba dalla marea in arrivo. Tornando l’anno successivo, quando il mare si era ritirato di nuovo, la madre del bambino scoprì che suo figlio era sopravvissuto miracolosamente nella tomba sotto il mare. L’ancora, simbolo del martirio di San Clemente, si trova nelle vicinanze. Il vescovo e la folla proveniente dalla vicina città di Kherson si stupiscono nel vedere il bambino al sicuro tra le braccia della madre. Una suggestiva rappresentazione del mare con vari tipi di pesci circonda la scena. Sul pannello sottostante si trova un medaglione circolare con il busto di San Clemente che viene venerato dai donatori dell’affresco recanti candele: Beno de Rapiza, sua moglie Maria, la figlia Altilia e il figlio Clemente. Sotto l’immagine di San Clemente c’è un’iscrizione che, tradotta, così recita: “voi che mi cercate nella preghiera, guardatevi dalle cose dannose”

Il ritorno delle spoglie di San Clemente

Sec. XI

L’altro affresco al lato dell’ingresso raffigura la Traslazione del corpo di San Clemente da S. Pietro a S. Clemente. Nell’868 i SS. Cirillo e Metodio avevano portato a Roma il corpo di San Clemente, che avevano trovato in Crimea, e lo avevano presentato al Papa. L’affresco mostra la scena del Papa che porta il corpo in processione nella chiesa di S. Clemente. Al centro si vede il corpo di San Clemente trasportato su una bara. I due fratelli Cirillo e Metodio, con il Papa in mezzo, guidano la grande folla che accompagna il corpo. L’artista, tuttavia, ha sbagliato a indicare il nome del Papa come Nicola, perché in realtà fu Papa Adriano II a ricevere i missionari. L’iscrizione ci dice che anche quest’affresco è un dono della famiglia de Rapiza: “Io, Maria Macellaria, per la riverenza di Dio e la salvezza della mia anima, ho fatto dipingere questo”. Quando questo dipinto fu scoperto, era in pessime condizioni e quello che vediamo oggi è il risultato di un pesante restauro.

Gli affreschi dell'XI secolo nella navata centrale

Nell’XI secolo due colonne del colonnato meridionale della basilica inferiore furono inglobate in nuove pareti. Su queste pareti furono dipinti due affreschi dell’XI secolo, coevi a quelli del nartece.

L'affresco di Sant'Alessio

sec. XI

Questo affresco racconta la famosa storia dell’asceta Alessio, figlio di un ricco senatore romano.  Dopo il matrimonio e con il consenso della moglie, lasciò Roma per diventare eremita a Edessa, in Siria. Con il passare degli anni, divenne famoso e molto ricercato per la sua santità. Così, in cerca di solitudine, fuggì da Edessa e tornò a Roma. È qui che l’affresco riprende la storia. Fuori dalla casa di famiglia incontra il padre che sta tornando a cavallo (a sinistra). Il padre sembra essere modellato sulla statua equestre di Marco Aurelio, che oggi si trova sul Campidoglio ma che all’epoca dell’affresco si trovava in Laterano. Il padre non riconobbe il figlio Alessio e nemmeno lo riconobbe la moglie stessa di Alessio, che si vede affacciata a una delle finestre della loro casa. Alessio decise di non rivelare chi fosse, ma accettò umilmente l’offerta di ospitalità del padre e visse, senza essere riconosciuto, come servo nella sua stessa casa, dormendo nel sottoscala. Alla sua morte, alcuni anni dopo, fu notato un foglio nella sua mano. Solo il Papa riuscì a liberarlo dalla sua presa (centro del pannello). Vediamo il Papa in piedi che legge il biglietto che rivela l’identità di Alessio. Nell’ultima scena, a destra, vediamo la moglie addolorata che abbraccia il suo corpo morto, mentre i genitori, affranti dal dolore, si strappano i capelli.

Sopra quest’affresco si trova un altro pannello, la cui parte superiore è andata distrutta con la costruzione del pavimento della basilica del XII secolo. La scena può essere identificata come Cristo in trono tra gli angeli Michele e Gabriele e i santi Clemente e Nicola. Il pannello inferiore è una fascia riccamente decorata con fiori, frutta e uccelli esotici. Sul lato del pilastro si trovano altri due pannelli che oggi non sono facilmente visibili, essendo coperti in parte dal muro di fondazione della basilica sovrastante. Le scene raccontano storie della vita di San Biagio: in particolare, quella in alto lo mostra mentre cura un ragazzo che stava soffocando con una lisca di pesce.

Affresco con la Messa di San Clemente
e la storia di Sisinnio

Sec. XI

Questo è forse l’affresco più noto della chiesa inferiore di S. Clemente. A un certo punto, durante gli scavi, padre Mullooly cominciò a non avere più fondi e sembrava che il suo lavoro non potesse continuare. Poi iniziò a scavare nella navata centrale e scoprì questo affresco. La sua scoperta suscitò grande entusiasmo in tutto il mondo e il sostegno ricevuto gli permise di continuare il lavoro di scavo nella chiesa inferiore.

Nel riquadro centrale vediamo San Clemente che celebra la Messa nella sua basilica. La chiesa è raffigurata in modo molto dettagliato: la navata centrale, le due navate laterali, le lampade, l’altare con il libro appoggiato sopra, il calice e la patena.  San Clemente si affaccia dall’affresco, pronunciando, per così dire, a noi le parole scritte nel libro: Il Signore sia con voi. La pace del Signore sia con voi. Dietro Clemente si trovano il clero e le due piccole figure che sono i donatori del dipinto. Si tratta di membri della famiglia de Rapiza, come si apprende dall’iscrizione sottostante.

Sul lato destro dell’affresco si trova una delle leggende del V secolo su San Clemente.  Vediamo un servo che conduce il nobile Sisinnio fuori dalla chiesa. È la seconda figura da destra nell’affresco. Sisinnio, un pagano, aveva seguito segretamente sua moglie Teodora in chiesa. Come pagano non avrebbe dovuto assistere al sacro mistero della Messa. Così, fu colpito da cecità e sordità e rimase tanto disorientato da non riuscire a trovare l’uscita dalla chiesa. Teodora si accorse di quanto stava accadendo e pregò per lui. Di conseguenza, i suoi servi riuscirono a farlo uscire dalla chiesa e lo riportarono a casa. Quando seppe da Teodora quello che era successo, San Clemente, pieno di compassione per lui, si recò a casa loro e pregò Cristo Signore di guarire Sisinnio. Guarito dalla cecità, Sisinnio fu subito pieno di rabbia nel vedere Clemente con sua moglie. Credendo che Clemente avesse in qualche modo fatto un incantesimo su di lui, ordinò ai suoi servi di farlo prigioniero. I servi furono indotti, per miracolo, a pensare che una colonna stesa a terra fosse Clemente. Legarono la colonna e cercarono di trascinarla fuori dalla casa. Nel pannello inferiore vediamo la scena in cui Sisinnio ordina ai suoi servi di rimuovere la colonna, pensando che sia San Clemente. I servi si chiamano l’un l’altro e le parole che pronunciano sono scritte accanto a loro sull’affresco. 

Sisinius

Questa scena viene spesso riprodotta perché le parole sono davvero famose. Segna il passaggio dal latino all’italiano e, nell’iscrizione, abbiamo uno dei primi esempi di italiano scritto. A sinistra, Falite dereto colo palo Carvoncelle (Andate dietro con una leva Carvoncelle), Gosmari Albertel traite (Tirate via, Gosmari e Albertel), e infine Sissinio, a destra, chiama Fili dele pute traite (Figli di puttane, tirate via). Ai suoi persecutori, San Clemente rivolge le parole iscritte sotto gli archi – duritiam cordis vestris saxa traere meruistis (Per la durezza dei vostri cuori avete meritato di trainare le pietre). Qui termina la storia dell’affresco ma, nella leggenda, Sisinnio in seguito si convertì e, successivamente, morì come martire per la sua fede.

Nel riquadro più alto di quest’affresco c’è una parte di un’altra scena che è stata tagliata dalla pavimentazione della chiesa sovrastante. Qui San Clemente viene intronizzato come papa da San Pietro, mentre i suoi predecessori Lino e Cleto con altri funzionari stanno ai lati.

Come nell’affresco di Sant’Alessio, anche i lati di questa parete erano decorati con dipinti che oggi sono difficilmente visibili, essendo parzialmente nascosti dal muro di fondazione del XII secolo. La scena di Daniele nella fossa dei leoni è una scena popolare fin dai primi tempi dell’arte cristiana e si trova spesso nelle catacombe. Immagine di minaccia e violenza, essa ricorda in modo impressionante la sofferenza e il martirio subiti dai primi cristiani per la loro fede.

Si vedano le pubblicazioni del Prof. John Osborne per approfondimenti sugli affreschi della Chiesa inferiore